
Le otto montagne
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Vincitore Premio Strega 2017
Pietro è un ragazzino di città, solitario e un po' scontroso. La madre lavora in un consultorio di periferia, e farsi carico degli altri è il suo talento. Il padre è un chimico, un uomo ombroso e affascinante, che torna a casa ogni sera dal lavoro carico di rabbia.
I genitori di Pietro sono uniti da una passione comune, fondativa: in montagna si sono conosciuti, innamorati, si sono addirittura sposati ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo. La montagna li ha uniti da sempre, anche nella tragedia, e l'orizzonte lineare di Milano li riempie ora di rimpianto e nostalgia.
Quando scoprono il paesino di Grana, ai piedi del Monte Rosa, sentono di aver trovato il posto giusto: Pietro trascorrerà tutte le estati in quel luogo "chiuso a monte da creste grigio ferro e a valle da una rupe che ne ostacola l'accesso" ma attraversato da un torrente che lo incanta dal primo momento. E li, ad aspettarlo, c'è Bruno, capelli biondo canapa e collo bruciato dal sole: ha la sua stessa età ma invece di essere in vacanza si occupa del pascolo delle vacche.
Iniziano così estati di esplorazioni e scoperte, tra le case abbandonate, il mulino e i sentieri più aspri. Sono anche gli anni in cui Pietro inizia a camminare con suo padre, "la cosa più simile a un'educazione che abbia ricevuto da lui". Perché la montagna è un sapere, un vero e proprio modo di respirare, e sarà il suo lascito più vero: "Eccola li, la mia eredità: una parete di roccia, neve, un mucchio di sassi squadrati, un pino". Un'eredità che dopo tanti anni lo riavvicinerà a Bruno.
- Durata6 ore e 20 minuti
- Data di uscita su Audible8 novembre 2017
- LinguaItaliano
- ASINB0774THPLQ
- VersioneEdizione integrale
- Tipo di programmaAudiobook Audible

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Dettagli prodotto
Durata | 6 ore e 20 minuti |
---|---|
Autore | Paolo Cognetti |
Narratore | Jacopo Venturiero |
Data di pubblicazione su Audible.it | 08 novembre 2017 |
Editore | Mondadori Libri S.p.A. |
Tipo di programma | Audiobook Audible |
Versione | Edizione integrale |
Lingua | Italiano |
ASIN | B0774THPLQ |
Posizione nella classifica Bestseller di Amazon | n. 910 in Narrativa provinciale e rurale n. 28,311 in Narrativa letteraria |
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Ho l'impressione, infatti, che "Le Otto Montagne" appartenga a quel genere letterario, che in Italia gode di particolari, strane fortune, descrivibile come "letteratura media, anzi, medio-bassa, anzi, talmente bassa che basta fare un po' di pubblicità e di marketing per farla sembrare poetica e evocativa, quindi altissima e sublime". Una letteratura vuota, che passa per letteratura impegnata. Una letteratura di facile intrattenimento per romanticoni insonni che cercano uno sceneggiato televisivo dentro ogni libro, che passa per letteratura dei sentimenti e dell'animo umano.
Uno dei capostipiti di questo tipo di letteratura è, senza dubbio, "Va' dove ti porta il cuore", di Susanna Tamaro: tradotto in tutte le lingue del mondo, per far sì che la letteratura italiana venga denigrata e presa per i fondelli in tutto il mondo, appunto, rimase in classifica più di due o tre presidenti del consiglio in successione, tutti dicevano che era bello, bellissimo, la Comencini ci fece pure il film, con Virna Lisi e una Margherita Buy "complessa", cioè nevrastenica, sin da allora, e tutti ancora a dire "bellissimo!, bellissimo!". Gli anni però passano, così come le fortune, e pare che tutti i lettori della Tamaro, e la Tamaro stessa, siano andati là dove li aveva portati il cuore e non siano più ritornati. Chi se lo ricorda più, quel libro? Del resto, di cosa parlava? Di una mamma italiana tanta cara e tanto buona che non riusciva più a comunicare con la figlia problematica. O qualcosa del genere. Senza dubbio, qualcosa di genere.
Un esempio più recente, invece, è "La Solitudine dei Numeri Primi", classico romanzetto "young adult", con la storia d'amore scema fra due ragazzi scemi, condito da dubbi simbolismi numerologici che manco la Kabbala, che comunque va di moda, almeno fra i fan di Madonna, giusto per dare un tono e uno spessore alla solita minestra riscaldata. Paolo Giordano ci vinse pure il Premio Strega, che spesso sembra essere il Premio Simpatia, e anche in questo caso ci fecero il film, con Alba Rohrwacher e Luca Marinelli, per la regia di Saverio Costanzo, forse costretto a abbandonare il cinema d'essay e i film in Arabo e Ebraico per dedicarsi, almeno per un po', alla non nobilissima ma comunque necessaria arte di racimolare qualche soldo con le commercialate nazional-popolari. Anche in questo caso, il tempo passa e, passato il santo, passata la festa: Paolo Giordano ha scritto altri due romanzi, uno di guerra e l'altro una fotocopia di quello d'esordio (amore difficile e complicato, incomunicabilità, eccetera), sono passati i tempi dei best-sellers e quei pochi che se lo ricordano si chiedono fino a quando i suoi libri verranno conservati nella memoria letteraria. Anche se non è una domanda che ruba il sonno a chissà quanti.
Arriviamo, dunque, a Paolo Cognetti e alle sue "Otto Montagne", anch'esso blasonato con lo Strega e successo di vendite. È così catastrofico, questo romanzo? Purtroppo no. Dico purtroppo perché, fosse stato veramente orribile, ci saremmo fatti tutti una bella risata e non ci avremmo pensato più. Invece, per citare le parole del mio amico squinternato, la scrittura di Cognetti ha veramente una sua dignità, le descrizione sono liriche e leggere come l'aria di montagna e le capacità narrative dell'autore non sono indubbie. Quindi, perché un autore, che comunque conosce i ferri del mestiere e l'arte della parola, si mette all'opera per raccontare una storia che è stata raccontata un milione di volte, che viene vista ogni sera nelle varie fictions di Rai Uno o Canale Cinque? Soprattutto, perché si continua a premiare questo tipo di prodotti letterari, come se dovessero dire o rivelare chissà cosa, mentre in realtà non dicono assolutamente nulla?
La storia è questa:
Ragazzo-di-città passa le estati in montagna, lontano da Milano, assieme a Mamma e Papà. Papà ama arrampicarsi sulla montagna. Mamma fa la mamma: sta lì per servire devotamente i maschi, inclusi i figli dei vicini, e come svago stringe amicizia con le altre donne del villaggio. Ragazzo-di-città fa amicizia con Ragazzo-di-montagna. Buttate qua e là, troviamo qualche espressione dialettale, giusto per vivacizzare e 'bastardizzare' l'Italiano, altrimenti manualistico, del Ragazzo-di-montagna bifolco. Si cresce e si cambia: il rapporto fra Ragazzo-di-città e Papà diventa teso, si incrina. Papà muore d'infarto. Si scopre il passato, a metà fra la soap opera e la tragedia greca, di Mamma e Papà. Ragazzo-di-città torna in montagna e ritrova il Ragazzo-di-montagna, che aveva perso di vista per qualche anno. Ma è un'amicizia che non muore mai. Poi scoppia un triangolo d'amore idiota, senza amore e senza sapore: si mette in mezzo questa tizia sbucata dal nulla, Lara, che, una volta lasciato Ragazzo-di-città, si mette assieme a Ragazzo-di-montagna. Fine del triangolo. Ragazzo-di-città viaggia per il mondo, Ragazzo-di-Montagna se ne sta sulla montagna con Lara, la figlioletta e le mucche, in ordine non necessariamente d'importanza. Riflessioni di importazione asiatiche sul valore del peregrinare e della permanenza -- si sa che l'Asia va di moda, a Katsuo Ishiguro gli hanno dato il Nobel perché l'avranno preso per Cinese, mentre quel disgraziato è Inglesissimo, e poi, Ishiguro a parte, Haruki Murakami docet, tanto, o Cina o Giappone o Nepal, l'importante è darsi all'esotico. Lara si rompe di non avere manco una lavatrice (ma i panni li faceva nel fiume gelido? non è dato di sapere), lascia in montagna il Ragazzo-di-montagna, che intanto impazzisce e vaneggia. Il Ragazzo-di-città, che nel frattempo è diventato il Ragazzo-giramondo, che non ha mai una lira in tasca ma prende aerei intercontinentali ogni due mesi, prova a fare ragionare il suo conoscente, il suo amico, suo fratello. Ma non c'è niente da fare. Alla fine, il montanaro muore, o forse no, non muore: s'è fatto tutt'uno con la montagna, il suo spirito s'è fatto roccia. Fine. Nulla di più. Non c'è nient'altro. A confronto, la Mazzantini è Dumas.
Non c'è furia animale, in questa vita di montagna descritta con piglio fanciullesco alla Edmondo De Amicis da Cognetti. Non c'è carne e non c'è sangue, ma nemmeno pietra o cristalli: solo morbida neve. Al paese, non c'è manco il matto del paese. Non c'è umorismo. Non c'è neppure sesso, cavolo! Ma l'aria di montagna non rinvigorisce? A quanto pare no. Mai una tempesta ormonale in piena adolescenza, mai una bella sega in libertà lassù fra i monti, mai una scopata in mezzo agli alberi. Manco una storia di corna o uno scandalo sessuale in paese, come se tutti fossero contenti di starsene a casa a guardare la televisione e a svegliarsi presto per mungere le mucche, quando invece, secondo me, in quei paesini lì... Giusto una scena di violenza -- cioè, una mezza scazzottata -- per far vedere che quei montanari lassú son "uomini veri". Insomma, tutta una banalità letteraria esteticamente e tematicamente asettica, patinata e politically correct, senza sbavature, senza una parola fuori posto, senza un doppio senso, senza manco un senso unico.
Insomma, sembra proprio che "Le Otto Montagne" sia stato scritto come se non si aspettasse nient'altro che la telefonata di qualche produttore che chiede i diritti per farci il film -- magari con la Rohrwacher nel ruolo di Lara, ragazza di città che abbandona tutto per realizzare il suo sogno, cioè quello di diventare una montanara morta di fame e piena di debiti, e con Marinelli nel ruolo di uno dei due protagonisti maschili, è indifferente quale dei due, tanto la profondità di questi personaggi è indirettamente proporzionale all'altezza della montagna descritta. La sceneggiatura sarebbe debolissima e poco credibile, però magari la Regione Valle d'Aosta o Trentino Alto-Adige qualche finanziamento lo mette a disposizione, e poi una reunion Rohrwacher-Marinelli su ispirazione dell'ultimo Strega è comunque un successo al botteghino assicurato a prescindere.
Un romanzo banale, insomma, ma di una banalità che fa rabbia se ci si aspetta ben altro da un autore "con la sua dignità" come Paolo Cognetti e dalla Letteratura Italiana in generale. Ma poi, questi libri vincono lo Strega e vendono centinaia di miglia di copie, sicché sono proprio i lettori italiani che non si aspettano e che forse nemmeno vogliono nulla di più...
Il problema di fondo è che non esistono le montagne. O perlomeno: non esiste una definizione unica di montagna. Le montagne sono luoghi di vita o di vacanza, luoghi indifferenti o luoghi che ci restano nel cuore – ma c’è ben poco di razionale in tutto questo. Non esistono le montagne, perché ognuno di noi ha il suo modo di vivere le montagne – un modo unico che difficilmente può essere confinato in una frase, un modo che spesso è complicato condividere anche con le persone che ci sono già vicine.
E giustamente, Cognetti in questo libro parla delle sue montagne, del suo modo di vivere la montagna – e forse in sottofondo ci sembra di sentire una vocina che dice “Vabbè, ma voi che non l’avete vissuta così, cosa ne potete capire?”. Cognetti racconta di un mondo di montagne deserte e di anime solitarie, inerpicato alle pendici del Monte Rosa. Cognetti parla di un’amicizia che dura trent’anni, di una famiglia che si allarga e si spezza mantenendo sempre il legame indissolubile con la montagna. Cognetti ci parla di estate, di mucche, di neve e di baite, e in fondo al cuore ci piacerebbe prendere una macchina e raggiungerlo lì, nei dintorni di Grana, a rincorrere due ragazzini che giocano lungo un torrente.
Ma la montagna, dicevo, è una esperienza personale – e arrivo in fondo al libro pensando che io ho perso tutto il mondo di Cognetti, ma lui ha perso tutto il mio. Perché, in fondo, in quelle montagne solitarie io non mi ci ritrovo: per me la montagna è un mondo di persone, una comunità forte e unita tanto d’estate quanto d’inverno – ed è natura, sì, ma è natura addomesticata e resa accessibile a tutti, un continuum di verdi e azzurri che non viene inframezzato dalle costruzioni delle città. Le mie montagne sono vive, sono un brulicare di gente allegra, sono piene di attività volte a valorizzare il territorio e a far spendere ai turisti quei soldi che sono indispensabili per mandare avanti la baracca e superare l’inverno. Perché la montagna da sola non sta in piedi: serve il turismo, serve l’attività, servono soldi per consentire alla gente di vivere, e di arrivare alla prossima estate. Le montagne, abbandonate a loro stesse, diventano uno spettacolo impervio e inospitale – e l’uomo ne fugge, l’uomo scende in pianura quando non riesce a vivere sulle montagne. E per questo io, abituata a amare quelle montagne probabilmente molto turistiche ma sicuramente vissute e valorizzate, io in questo racconto non mi ci ritrovo.
Dall’altro lato, però, in Cognetti troviamo personaggi descritti con la stessa ruvidezza delle montagne, con se fossero scolpiti in un ghiacciaio e ne emergessero i tratti poco per volta, man mano che la neve si scioglie. In Cognetti troviamo uomini senza padre e padri che non sono mai stati figli; e troviamo figli che fuggono, e che poi si ritrovano sulle orme dei padri. E le donne, sì: le donne funzionano da collante, limano gli spigoli e ammorbidiscono questi uomini ruvidi – sempre per scelta però, mai per sottomissione, e mai sentendosi chiuse in gabbia. In tutto il libro scorre una vena di libertà: nessuno è davvero ingabbiato tra quelle montagne, e chi ci resta lo fa per scelta, lo fa perché isolarsi sulle montagne è il suo modo per cercare la libertà.
Splendida la narrazione, dunque, splendidi i personaggi e lo stile – anche se non parla del mio mondo, anche se queste non sono le mie montagne. Ma andando oltre il racconto in sé, tramite la splendida scrittura di Cognetti possiamo trovare nuove domande, possiamo chiederci se il sentiero tracciato sia quello giusto, e possiamo scegliere quale sia la nostra prossima montagna da scalare. Perché non serve avere un paio di scarponi ai piedi: la montagna è una filosofia di vita, è l’idea che serva fatica per arrivare in cima, ma che poi ne valga la pena.
"Da mio padre avevo imparato, molto tempo dopo avere smesso di seguirlo sui sentieri, che in certe vite esistono montagne a cui non è possibile tornare. Che nelle vite come la mia e la sua non si può tornare alla montagna che sta al centro di tutte le altre, e all’inizio della propria storia. E che non resta che vagare per le otto montagne per chi, come noi, sulla prima e più alta ha perso un amico."
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