Recensito in Italia 🇮🇹 il 8 novembre 2017
Con questo autore ho da sempre un rapporto controverso. Da un lato, mi piace quasi sempre come scrive per lo stile narrativo elegante, ricercato, mai pomposo, comunque scorrevole che lo contraddistingue. Dall’altro, alcuni suoi libri li ho trovati molto belli (su tutti ‘Il passato è una terra straniera’, ma anche quelli della fortunata serie dedicata all’avvocato Guerrieri mi sono piaciuti tutti), altri decisamente fuori fuoco, sbagliatissimi a mio parere.
D’altronde, anche l’uomo Gianrico Carofiglio è persona che ho avuto modo di incontrare più volte e in ambiti opposti fra di loro (da presentazioni davvero ristrette, come quella volta al circolo di lettura della Giulio Perrone editore, a contesti ben più ampi, tipo all’Auditorium di Roma durante l’annuale festival dedicato ai libri), trovandolo talvolta affascinante, divertente, piacevole e altre spocchioso, ai limiti dell’antipatico.
Credo dipenda da questa sua ‘duplicità’ (ai miei occhi, ovvio) la ragione per la quale, in fondo, continuo a dargli sempre una chance. Come appunto ho fatto anche questa volta, uscendone devo dire molto soddisfatta, perché questo romanzo mi è piaciuto proprio.
La trama è semplice: Antonio è un ragazzo affetto da una forma di epilessia idiopatica. Le cure all’estero e la richiesta, da parte del professore che lo ha in cura, di sottoporlo ad una ‘prova da scatenamento’(oggi vietata e sconsigliata negli ambienti clinici) che costringe lui e suo padre a non dormire per due giorni e due notti di seguito. Sullo sfondo di queste incredibili 48 ore, la città di Marsiglia, bellissima e ‘doppia’ anche lei, divisa fra luoghi di una bellezza luminosa come la zona delle Calanques e delle sue calette dall’acqua cristallina ‘più bella che in Corsica’ - come tengono a precisare alcuni marsigliesi incontrati da Antonio e suo padre nel corso del loro girovagare per non addormentarsi - e le scure aree del Vieux Port o del quadrante del Panier che ‘non è pericoloso come raccontano, ma un po’ d’attenzione non guasta’, soprattutto di notte.
Il pretesto è perfetto per far incontrare davvero, in fondo per la prima volta, questo padre e questo figlio poco più che adolescente che, sino a quel momento, non si erano mai veramente parlati, ‘annusati’, confrontati, conosciuti. E i dialoghi fra loro due sono bellissimi, raccontati in prima persona da un Antonio più adulto rispetto a quando intraprese questo viaggio con suo padre.
Nel testo ci sono anche diverse citazioni e alcune mi sono ovviamente rimaste impresse più di altre, come quella che dà il titolo al libro ‘Nella vera notte buia dell’anima sono sempre le tre del mattino’ (da Handle with care, di Francis Scott Fitzgerald) o l’altra, bellissima, che tira un po’ le somme di tutto questo percorso breve, ma molto intenso, vissuto da Antonio e suo padre ‘Se la gente crede che la matematica non sia semplice, è soltanto perché non si rende conto di quanto complicata sia la vita’ (cit. del matematico John von Neumann).
Trovo che in questa narrazione di Carofiglio ci sia una vena di rimpianto, nostalgia, malinconia che ben si sposa con l’ambientazione da lui scelta per raccontarci questa storia. Insomma, a conti fatti: un libro del quale personalmente mi sento di consigliare la lettura.